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  Recensioni - Le pagine della Memoria
   
 

Shoah: Volti, luoghi e parole dell’indicibile

Undici anni di lavorazione – di cui cinque e mezzo dedicati solo al montaggio -, nove ore e mezza delle trecentocinquanta di riprese, costituiscono il prezioso materiale raccolto in questo cofanetto (*).  L’Autore è Claude Lanzmann, Medaglia della resistenza e cavaliere della Legion d’onore. Lanzmann è nato a Parigi il ventisette novembre del 1925. Nel 1952, a Berlino, conosce Jean Paul Sartre e Simone de Beauvoir di cui diviene amico. Fino al 1970 svolge attività di saggista e giornalista e, negli anni seguenti, si dedica esclusivamente al cinema: dapprima realizza Porquoi Israel, con il quale ottiene un notevole successo di pubblico, sin dalla sua prima a New York. A partire dall’estate del 1973, comincia a lavorare alla realizzazione di Shoah. Nel 1985 l’opera viene presentata a New York nella durata attuale. Immediatamente si parla di un capolavoro  assoluto di arte cinematografica e di storia. Nella pausa tra la prima e la seconda parte della proiezione, un rabbino chiede di rimanere in sala per recitare il kaddish, ovvero la preghiera per i morti. Oggi quest’opera è considerata la miglior produzione cinematografica sull’argomento. Un’edizione integrale del film, in lingua italiana, è stata mandata in onda dalla RAI  nell’estate del 1987.
      Se fossi stato deportato  con tutta la mia famiglia, non sarei mai stato capace di girare questo film, questo è certo… Ho cominciato con il leggere. Andavo a tastoni, come un cieco… Non mi sono recato subito sui luoghi. Dapprima ho cercato le persone… A quel tempo ero una bomba  carica di sapere, ma senza detonatore. La Poloniaé stato il detonatore
        In queste poche righe sta il senso del viaggio intrapreso da Lanzmann e cominciato con la scoperta di un villaggio dal nome Treblinka, di una stazione ferroviaria, dai suoi binari, dai suoi vagoni. Tutto è iniziato lì, da quelle foreste, da quei villaggi, da quei paesaggi, da quella terra nuda, da quel paesaggio, da quei luoghi da cui non cessano di levarsi ombre inquietanti del passato.  Da quella che pare essere una prima assenza di tracce si dipana l’occhio del ciclone, quello che poi diverrà l’inaccessibile, l’inimmaginabile..
        Eppoi ci sono le storie. Le storie di chi arrivava ad Auschwitz e, gassato e ridotto in cenere,  moriva,  entro due ore, nella radicale incomprensione della propria morte; le storie di chi è stato internato ed è tornato grazie al fatto di essersi trovato in un’altra fila; le storie degli aguzzini come quella dell’ufficiale SS Franz Suchomel che, rettificando una domanda postagli da Lanzmann, gli ricorda che gli ebrei uccisi ogni giorno a Treblinka non erano diciottomila, ma solo dodicimila, forse quindicimila e che lui si trovava in quel luogo solo per svolgere un lavoro, un lavoro come un altro; le storie dei Sonderkommando – i prigionieri ebrei che avevano ordine di spogliare e depredare i connazionali prima di gassarli – quindi non deportati comuni e che, comunque destinati a morire, si ritrovano, per una strana serie di coincidenze, vivi, ma portavoce dei morti.
          L’altro, ed ultimo, elemento che rende straordinario questo lavoro di Lanzmann è la ricerca, usata anche come espediente narrativo, del testimone. Emblematica – forse una dei momenti più belli del film – l ’intervista ad Abrahm Bomba, che aveva il compito di tagliare i capelli, perché anche quelli venivano recuperati nell’efficientissimo sistema di distruzione nazista, alle vittime ebree prima della gassazione. Lanzmann, contrariamente ad altri autori, di fronte al rifiuto di Abrahm, di continuare, perché troppo dolorosa, la sua testimonianza, lo invita ad andare avanti e, infatti, dopo le ultime ritrosie, Abrahm, con un filo di voce,  dice: Va bene … Continuiamo e continua il  racconto del suo personale indicibile, compiendo così un atto di resistenza che lo riporta, quasi, ad  opporsi e riscattarsi dalla violenza subita dai suoi carnefici.
       In chiusura Lanzmann intervista una contadina polacca che viveva in prossimità di un campo di sterminio. Le chiede se non avesse mai sentito urla o visto sostanze particolari fuoriuscire dai camini e la signora risponde: Sì, qualche volta … Ma poi ci si abitua a tutto.
       Ecco, anche con l’opera di Lanzmann, impariamo a non abituarci a tutto.

                                                                                                   IVAN GIUGNO

 

(*) CLAUDE LANZMANN, Shoah, 2007 EINAUDI
Cofanetto con un libro e quattro DVD sottotitolati e tradotti in italiano


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