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  Recensioni - Le pagine della Memoria
   
 

Le donne e gli inermi: l'altra Resistenza

Fra le molte occasioni, offerte dalla nostra città, per ricordare il Sessantesimo Anniversario della Liberazione, tra il 27 ed il 29 ottobre 2005 si è svolto il Convegno, sostenuto dal Comune di Brescia-Assessorato alle attività culturali, Dalle storie alla  Storia.  L’iniziativa, significativamene, è stata proposta dal Coordinamento Donne  Pensionate SPI-CGIL, FNP-CISL e UILP-UIL.
 Nel marzo di quest’anno, Bruna Franceschini, per i tipi della Grafo Editrice, ha curato, ampliandoli, la pubblicazione degli atti, che sono divenuti un bel volume dal titolo
Dalle storie alla StoriaLa dittatura, la guerra, le privazioni, la paura nel vissuto delle donne e degli inermi.
Il testo – costituito da tre parti: contributi storici, testimonianze e biografie postume – può essere letto da due punti di vista. Il primo, forse il più denso, è quello del contributo femminile alla Resistenza, soprattutto locale; il secondo approfondisce il concetto di resistenza civile, coniato nel 1993 da Jacques Sémelin, che riassume tutte quelle iniziative, conflittuali ma non armate, che venivano poste in essere da una svariata serie di soggetti, in omaggio a quella Resistenza multiforme, di cui parla lo storico Bendiscioli.
Tra l’insignificanza  storica e la mitizzazione della staffetta, c’è, necessariamente, tutta una fase intermedia da esplorare. In ogni caso  l’impegno della donna, era il frutto di una scelta meditata: i bandi di Graziano ed Almirante, infatti, non riguardavano loro. Ben altre erano le loro motivazioni: guerra alla guerra, rifiuto delle leggi razziali, della violenza etc., ma, soprattutto, una realtà di sentimento, che, come ricorda Miriam Mafai, aveva il … volto di un fratello, un padre, un figlio, un fidanzato, un marito…
C’è poi un altro elemento. Dimenticare, derivando dal tardo-latino “dementicare”, rimanda al concetto di espellere, buttar fuori, in una parola “fuori di mente”. Ricordare, trae la sua origine, invece, dal nome latino dell’organo ritenuto sede della memoria: cor cordis. Dunque ricordare, significa rimettere nel cuore, rimettere nella memoria ed è un gesto che ben si attaglia alla capacità tutta femminile di serbare, dentro di sé, persone, date, luoghi, avvenimenti, ma anche dolori, sconfitte, compreso quello che Primo Levi chiamava l’indicibile. E di indicibile c’è molto nelle storie di queste donne. Ci sarebbe da parlare della violenza sessuale. Certamente il confessare – come era stato ordinato dai feroci aguzzini della R.S.I. Osvaldo Valenti e Luisa Ferida – di essere state obbligate a subire accoppiamenti con animali avrebbe voluto dire, nel contesto d’epoca, portare a sicura emarginazione. La violenza fisica e psichica del carcere, le minacce ed i maltrattamenti come nei racconti di Santa Dusi, Gina Perlotti, Pina e Rosa Romelli; la violazione del pudore come ricorda Carolina Tanghetti che non riusciva ad andare al gabinetto in presenza dei militari; l’esser prese in ostaggio con i figli di quattro anni  - come rimembrano Giacomina Rinaldini ed Erminia Cuhar -  e spedite ad Auschwitz o Buchenwald perché alcuni familiari erano partigiani e qualcuno deve pur pagare costituiscono il raccapricciante quadro di come una violenza, legalizzata e professionalizzata, miri al controllo sociale ed alla negazione di ogni volontà e desiderio individuali, specialmente di bambina o di donna.
La storica Anna Bravo sostiene che la gerarchia armati/inermi  oggi non sia più intoccabile, ovvero che il ruolo dei primi non sia superiore a quello dei secondi. E’ il discorso sulla resistenza civile che fu praticata a diversi livelli. Quella di impiegati che, a loro rischio e pericolo, fornivano fogli di via  agli sbandati, che non terminavano delle pratiche o non consegnavano elenchi di renitenti ed ebrei; capiufficio che, nonostante gli operai trafugassero armi, mantenevano il silenzio; ufficiali che omettevano di segnalare ai superiori i rifiuti di coloro che avrebbero dovuto giurare fedeltà alla R.S.I.
E quella del vasto arcipelago femminile e della sua immane creatività: ostentare debolezza per depistare miliziani che si avvicinavano a rifugi di partigiani; nascondere armi da portare a destinazione tra il pane, la pasta ed il burro; stampare, in famiglia, materiale propagandistico; spacciare riunioni per incontrarsi tra amiche, non dimenticando di stendere biancheria per avvisare di retate e rastrellamenti; introdurre  pasti in carcere, esportando messaggi in codice; confezionare pantofole per i piedi dei reduci di Russia; sostituire radiografie con patologie per far giudicare alcuni inidonei alla chiamata alla leva; nascondere un partigiano in un mucchio di letame, in maniera che si creasse un puzzo diffuso tale da renderlo introvabile anche al fiuto dei cani dei militari tedeschi. E ancora migliaia di altri gesti.
          C’è allora bisogno di una nuova Resistenza che si contrapponga all’oscena offensiva negazionista … ed alla volgarità dei modelli, non solo femminili, oggi proposti, antagonisti non solo allo spirito resistenziale, ma anche al senso estetico, oltre che
etico …
                                                                                              IVAN GIUGNO

 

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